Setteottoquattro
784
“Mi interessava uscire dallo schema della produzione industriale e creare qualcosa di esclusivo.”
La 784 è un trono contemporaneo costituito da centinaia di barre di alluminio dorato che la rendono unica come un’opera d’arte. In bilico tra design e artwork, questa seduta in alluminio galvanizzato diventa protagonista di qualsiasi ambiente in cui venga inserita.
Con la sua doratura e massiccia presenza richiama persino atmosfere storiche ed esotiche come quelle egizie e fantasmagorici scenari che sarebbero piaciuti a D’Annunzio o Mata Hari.
Il problema della sculpture armchair di Carlo Colombo, ontologico, verrebbe da dire, è che è un’opera d’arte con un’altissima predisposizione ad accogliere le terga altrui.
La questione non si pone, diranno i più: qualcosa è cambiato dai tempi della Gioconda e del David, oggi esiste il design che ha reso opere d’arte anche gli oggetti nati per assolvere funzioni pratiche, poltrone comprese.
Mi permetto di contraddire questa opinione corrente, sulla base anche di un’esperienza personale che mi ha visto perito in una causa che contrapponeva due produttori di mobili. Il primo, specializzato in mobilia di design, sosteneva che l’altra azienda, dedita a una produzione decisamente più economica e popolare, avesse copiato impunemente un loro letto, firmato da un noto architetto, che per essere stato citato nelle pubblicazioni scientifiche ed esposto nei musei doveva essere considerato un’opera d’arte.
Ho contestato che un oggetto nato con la finalità commerciale di essere un letto possa essere considerato in prima istanza un’opera d’arte allo stesso modo di come si farebbe, per esempio, con il Bed di Robert Rauschenberg, che una volta era un letto anch’esso, e che ora, manomesso dall’artista e trasformato in oggetto a esclusiva finalità estetica, si trova esposto al Museum of Modern Art di New York (appeso a parete, perché a nessuno vengano tentazioni di un certo genere) nelle medesime modalità reverenziali della Gioconda o del David.
Il giudice mi ha dato ragione: si può discutere sul plagio, quindi sul diritto alla tutela di un prodotto dell’ingegno, ma non sul fatto che sia stata copiata un’opera d’arte. Sicché, se dovessimo riconoscere alla poltrona di Carlo Colombo di essere arte in quanto design, dovremmo conseguirne che non è un oggetto il cui primo scopo è estetico.
Se ho capito bene, non è questo il proposito di Colombo, almeno in questa occasione. Certo, Colombo è designer di professione, per di più affermato, sarebbe quasi automatico inquadrare la sua sculpture armchair in un certo modo, nella linea di quanto ha già fatto e continua a fare abitualmente, anche perché, a occhio e croce, l’opera avrebbe tutte le caratteristiche per prestarsi alla produzione in serie.
Stavolta, però, Carlo Colombo vuole che la nostra concentrazione, fermo restando che nessuno nega l’artisticità del design, si sposti dal letto firmato al Bed di Rauschenberg, per usare il metro prima indicato a proposito della causa per la quale ho fatto da perito, ovvero dall’oggetto pratico la cui finalità estetica é accessoria a quello che invece é eminentemente estetico.
Come tale, il secondo va valutato nei termini propri della disciplina critica che li considera, da cui anche il mio ruolo in questa sede.
Niente di più facile, perché i rimandi della sculpture armchair all’arte contemporanea mi paiono piuttosto evidenti.
E’ infatti opera in cui combaciano perfettamente due nature comunque distinguibili: una più strutturale, con i componenti tubolari, replicati regolarmente secondo un principio modulare, che formano una texture tendente al cubo perfetto, se non venisse alterata, con tagli in sezione a diversa altezza e di andamento curvilineo, in corrispondenza della cavità a seduta; l’altra, più visiva, riguarda l’effetto ottico che tale configurazione plastica comporta, come se fosse un dispositivo autonomo rispetto ad essa.